SERVIZIO NAZIONALE PER LA PASTORALE GIOVANILE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Il Crocifisso

Introduzione Per poter sostare davanti al Crocifisso di San Damiano è importante conoscere l’esperienza che San Francesco ha vissuto dinanzi ad esso.  Francesco arriva a questo appuntamento preparato da alcune esperienze. Già aveva sperimentato che il sogno di diventare cavaliere non gli regalava la felicità, anzi dall’esperienza fatta nella battaglia a Collestrada (una località che […]
9 Marzo 2015

Introduzione
Per poter sostare davanti al Crocifisso di San Damiano è importante conoscere l’esperienza che San Francesco ha vissuto dinanzi ad esso. 

Francesco arriva a questo appuntamento preparato da alcune esperienze. Già aveva sperimentato che il sogno di diventare cavaliere non gli regalava la felicità, anzi dall’esperienza fatta nella battaglia a Collestrada (una località che dista circa 15 chilometri da Assisi in direzione Perugia) (FF 584; FF 1389) comprende che ciò porta solo dolore, sofferenza e morte; aveva cominciato ormai a lasciare il suo bel mondo luccicante, che gli offriva solo vuoto (FF 1402-1403); cercava ormai sempre più spesso luoghi solitari (FF 591); aveva sperimentato inoltre qualcosa di nuovo, di inatteso in un incontro che solo qualche mese prima non si sarebbe mai augurato di fare: quello con il lebbroso. Nel suo testamento (FF 110) il Poverello di Assisi ricorda e si dilunga su questo incontro, poiché gli aveva trasformato la vita. In quell’occasione Francesco sperimenta un’emozione mai provata fino a quel momento: l’amaro gli si cambia in dolcezza ed il suo disgusto per la lebbra si trasforma in compassione. Sentimenti del tutto nuovi che gli fanno scoprire la gioia e ancor più la dolcezza e la tenerezza.

Quando Francesco si aggira nei pressi di S. Damiano porta nel cuore una preghiera profonda ed insistente: “Signore che cosa vuoi che io faccia?”. Nel suo intimo aveva coltivato la disponibilità a dare una svolta decisiva alla propria vita. Inoltre, nell’esperienza tra i lebbrosi, aveva imparato, un alfabeto valoriale di altro colore.

Con questo desiderio “un giorno, passò accanto alla chiesa di San Damiano, quasi in rovina e abbandonata da tutti.
Condotto dallo Spirito, entra a pregare, si prostra supplice e devoto davanti al Crocifisso e, toccato in modo straordinario dalla grazia divina, si ritrova totalmente cambiato. Mentre egli è così profondamente commosso, all’improvviso – cosa da sempre inaudita – l’immagine di Cristo crocifisso, dal dipinto gli parla, movendo le labbra.
 “Francesco, - gli dice chiamandolo per nome – va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina”.
Francesco è tremante e pieno di stupore, e quasi perde i sensi a queste parole. Ma subito si dispone ad obbedire e si concentra tutto su questo invito. Ma, a dir vero, poiché neppure lui riuscì mai ad esprimere l’ineffabile trasformazione che percepì in se stesso, conviene anche a noi coprirla con un velo di silenzio”.
(Dalla Vita Seconda di San Francesco di fra Tommaso da Celano, FF 593).
 
La storia e la vocazione di S. Francesco resta indissolubilmente legata e segnata dalla croce: da S. Damiano alla Verna (FF 484-485; FF 1222 e ss), passando per un amore appassionato a Gesù crocifisso tanto da andare errando, pregando e piangendo per i boschi (FF 1180) mentre meditava questo mistero della vita del Maestro. Più Francesco si specchia nel crocifisso e più la sua vita diventa come la vita dell’amato, fino “all’ultimo sigillo”.

Risale probabilmente a questo periodo la “preghiera davanti al crocifisso”.

Altissimo, glorioso Dio,
illumina le tenebre de lo core mio.
Et dame fede dricta,
speranza certa e carità perfecta,
senno e conoscemento, Signore,
che faccia lo tuo santo
e verace comandamento. Amen.
(FF 276)

 
Quando nel 1257, dopo la morte di S. Chiara, le Clarisse si trasferirono dalla chiesa di San Damiano a quella di San Giorgio dentro le mura di Assisi, presero con loro il Crocifisso. Ora la preziosa reliquia è custodita nella Basilica di Santa Chiara.
 
 
“LETTURA” DEL CROCIFFISSO DI S. DAMIANO
Il Cristo di S. Damiano è un’icona e non una semplice pittura. Questo termine indica un’immagine che presenta alcuni elementi ricorrenti e facilmente riconoscibili, come il colore, la tecnica pittorica, la preparazione, i soggetti dipinti.
Lo scopo dell’immagine non è descrittivo o estetico, ma essenzialmente “teologico”: l’icona supera le forme del nostro mondo per rendere presente il mondo di Dio. È in questo altro mondo che si unificano gli elementi teologici, estetici e tecnici, per aprirsi alla visione di fede e di meditazione.
L’iconografo prima di dipingere passa lunghi periodi di digiuno, di preghiera e di meditazione sulla Parola di Dio, per poter poi “scrivere” l’icona, si dice così, poiché ad ogni elaborato di questo tipo sottostà uno o più testi sacri: nel nostro caso è stato seguito decisamente il Vangelo di Giovanni.
Un’icona, oggi, ha necessità di essere spiegata (è un tipo di pittura che non appartiene al nostro “linguaggio” occidentale, più descrittivo o estetico) per rivelare il mistero profondo dell’essere e per il quale a volte sacrifica la bellezza estetica.
I colori hanno un compito non descrittivo ma simbolico; possiamo notare tre colori predominanti: l’oro, il rosso e il nero. Su questa icona si può contemplare il risultato finale della lotta luce-tenebre, amore-morte, peccato-vita. L’inquadratura della croce ed il corpo i Gesù son di color oro, e risaltano su fondo prevalentemente nero e rosso. L’oro che sta ad indicare la divinità ci informa che il fatto sottostante i nostri occhi ha a che fare con il mondo del divino; un Divino che lotta contro le tenebre (nero simbolo di morte, male, incredulità e peccato) e vince per l’amore e nell’amore (il rosso)!
Quest’icona è del XII secolo, opera di un pittore anonimo umbro con evidenti influssi orientali-siriani; dipinta su tela e successivamente incollata su una tavola di legno di noce. L’opera ha un’altezza di 210 cm per 130 cm di larghezza.
 
LA FIGURA DEL CRISTO E IL PARTICOLARE DEL VOLTO
Ad un primo sguardo, ciò che ci attira è la figura del Cristo crocifisso che domina l’intera superficie del dipinto, per la sua grandezza e per il colore brillante (Gv 8,12), che contrasta con il fondo nero.
Gesù non appare come colui che ha subìto la morte in croce, ma come colui che dalla croce regna. Non sono scomparsi i segni della sofferenza (il sangue che scorre dai fori), ma quasi trasfigurati. La corona di spine è sostituita dalla corona di gloria, anche se nel suo interno sono presenti le linee della croce immerse nella luce. In questo modo si rende presente il mistero del dolore, attraverso il quale il Figlio di Dio è dovuto passare, che nella croce ha trovato il suo punto più alto e la sua glorificazione (Fil 2,5-11).
La figura del Salvatore non è appesa ai chiodi ma quasi appoggiata alla croce, poiché le braccia, segnate dalle piaghe, sono distese in segno di accoglienza; le gambe sono diritte, forti, sostengono tutto il corpo. Questa posizione indica che Gesù è passato sì, attraverso la morte, ma l’ha vinta. Ci parla chiaramente della Pasqua, passando certamente per il venerdì santo, per proseguire poi verso la domenica di resurrezione. Gesù è ritto, in piedi, vivo! L’ultima parola sulla sua vita e sulla nostra non sarà la morte, ma la vita.
L’indumento indossato da Gesù è l’efod il cui tessuto è di lino orlato d’oro. L’efod veniva indossato dai sacerdoti del Tempio i quali offrivano sacrifici a Dio. Questa veste può ricordare anche quell’asciugatoio di cui si cinse Gesù per la lavanda dei piedi (Gv 13,4). Nel Cristo troviamo un sacerdozio particolare (Eb 2,14-18), dove lui è il ministro-servo e l’agnello allo stesso tempo (Eb 10,5-7). Ora è lui l’unico e l’eterno sacerdote-servo; è lui il “ponte” che unisce il Cielo alla terra; è lui che chiede misericordia al Padre, per ogni uomo, perché ben conosce la fragilità dell’esperienza umana.
Il volto del Signore è il centro dell’icona. Ciò che più attira il nostro sguardo sono i suoi occhi, molto grandi rispetto alle dimensioni del volto e ben aperti, come una persona viva, anzi come il “Vivente” (Ap 1,18), il “Principe della Vita” (At 3,15): è Gesù la vita stessa (Gv 14,6). Forse anche Francesco avrà vissuto l’esperienza del “giovane ricco”: “Gesù fissò lo sguardo su di lui, lo amò e gli disse…” (Mc 10,21).
Se si guarda bene, si vede che il volto e anche la corona di gloria di Gesù sono leggermente velati. Il loro splendore è oscurato da un’ombra che copre anche il collo di Gesù. Come la gloria del Signore “era un tempo velata dalla nube”(Es 24,16), ora essa è velata dalla stessa umanità di Gesù. San Paolo chiama anche “il velo” la carne di Gesù
(Eb 10,20).
Lui è il vivente, qui e ora davanti a te. I suoi occhi scrutano ogni uomo. Il suo collo molto robusto e anch’esso sproporzionato, è gonfio per dire la forza con cui il Figlio di Dio fa dono dello Spirito Santo che, secondo l’evangelista Giovanni, avviene il giorno di Pasqua (Gv 20,19-23). Il “soffio” dello Spirito richiama la creazione dell’uomo (Gen 2,7) e vuole suggerire che si tratta di una nuova creazione. Come di nuova creazione parlano le sei ciocche di capelli appoggiate sulle spalle: i giorni della creazione che, Gesù, si prende sulle spalle per salvarla, per riscattarla dal peccato.
 
LE FIGURE MAGGIORI
Sono i personaggi posti sotto le braccia di Gesù, che l’iconografo ha cercato di identificare attraverso le scritte. Partendo da sinistra troviamo: Maria, la madre di Gesù; Giovanni il discepolo prediletto; Maria Maddalena; Maria madre di Giacomo (Gv 19,25); un funzionario romano, forse quello a cui Gesù guarì il figlioletto (Gv 4,46-54) e dietro a quest’ultimo altri personaggi di cui si intravede solo la testa.
Qui viene rappresentato il primo nucleo della chiesa nascente. I sentimenti che si possono cogliere sono la calma e la pace: son sotto la croce, ma han già sperimentato la resurrezione, poiché nei loro volti non c’è dramma, né strazio, né dolore. Domina un atteggiamento di pacata fiducia poiché la morte ed il dolore son stati vinti.
MARIA: è posta alla destra di Gesù, in posizione d’onore. In particolare della Vergine son da notare il volto e le mani. È l’unica figura, assieme a Gesù nel medaglione, ad abbozzare un sorriso; mentre con la mano sinistra avvicinata alla bocca, esprime la sua ammirazione, ed anche il “custodire nel suo cuore”, con la mano destra invece, indica Gesù. Il suo capo leggermente reclinato verso Giovanni esprime una tenerezza indicibile (Gv 19,26). Il suo sorriso non cede alla disperazione o alla tristezza, ma esprime serena fiducia. La Madre indossa un mantello bianco - tempestato di pietre preziose che simboleggiano i doni dello Spirito Santo – che secondo la tradizione iconica ha un triplice significato: di vittoria per la fedeltà al Vangelo (Ap 3,5), di purificazione perché passati attraverso la grande tribolazione (Ap 7,13-14), le opere buone che Dio concede di compiere ai santi (Ap 19,7). L’abito rosso è simbolo dell’amore, mentre la tunica viola sta a ricordare che è lei la nuova Arca dell’Alleanza (Es 26,1-4).
GIOVANNI: è posto nel luogo della tenerezza, tra Gesù e Maria. È lui che nell’ultima cena poggia il suo capo sul petto del Figlio di Dio (Gv 13,23-25). Il suo volto è girato verso Maria, che da Gesù gli è stata consegnata come “sua Madre” (Gv 19,25-27), divenuta così madre di tutta l’umanità. Il mantello di colore rosa sta indicare la sapienza, quella che ha ricevuto e saputo trasmettere attraverso i suoi scritti.
Tra i personaggi sotto il braccio sinistro di Gesù troviamo per prima MARIA MADDALENA (la donna dalla quale Gesù ha scacciato sette demoni e che faceva parte del gruppo di donne che lo seguivano e lo assistevano con i loro beni): con il capo tocca il capo di Maria madre di Giacomo, facendoci intuire che tra le due donne c’è un dialogo, forse sta confidando un segreto, mentre con la mano sinistra avvicinata alla bocca esprime stupore e ammirazione. Il vestito color rosso sta a simboleggiare l’amore.
Vicina si trova MARIA MADRE DI GIACOMO la quale ascolta attentamente ciò che Maria Maddalena le sta rivelando. Il suo sguardo va verso la prima. Il suo abito color terra simboleggia l’umiltà, il mantello verde invece la speranza.
IL CENTURIONE DI CAFARNAO: alla sinistra di Maria madre di Giacomo, vestito a guisa dei soldati romani, ha in mano un pezzo di legno per ricordare il suo finanziamento per la costruzione della sinagoga di Cafarnao (Lc 7,1-10). Le tre dita tese della sua mano destra stanno ad indicare la Trinità. Alla sua sinistra una “faccina”: forse il figlio guarito o tutti quelli che dopo il suo riconoscimento di Gesù come Figlio di Dio (Mc 15,39) si sono convertiti.
 
LE FIGURE MINORI
Di lato alle figure maggiori, in basso, ci sono due piccoli personaggi che la tradizione vuole si chiamino Longino e Stefanon. Il primo vestito da soldato romano (alla destra di Gesù) con una lancia in mano potrebbe essere colui che ha aperto il costato di Cristo (Gv 19,34); l’altro coi tratti distintivi dell’ebreo, aveva a sua volta una canna in mano, con in cima una spugna, forse quello che porge a Gesù dell’aceto (Gv 19,28-29). Questi due personaggi, rappresentanti di coloro che hanno effettuato l’esecuzione materiale della morte del Cristo, son raffigurati di piccola statura poiché nonostante agli occhi dell’umanità è parso che abbiano ucciso Gesù in realtà nulla avrebbero potuto se non fosse stato lo stesso Gesù a offrire la sua vita per la salvezza degli uomini (Gv 10,17-18).
Ancora più in basso sul lato sinistro troviamo un gallo o una fenice: simboli entrambi della resurrezione di Gesù.
 
IL MEDAGLIONE
La scritta, che è il motivo della condanna, ci rivela la vera identità del Cristo. Infatti il latino “IHS NAZARE REX IVDEORVM” può essere tradotto con: Gesù Nazareno re dei Giudei. La sigla IHS è la trascrizione latina dell’abbreviazione del nome greco di Gesù.
Appena sopra la scritta troviamo un medaglione con l’ultima parte dell’esperienza pasquale di Gesù: l’ascensione.
Gesù risorto sta salendo verso il Paradiso, raffigurato dalla presenza degli angeli festanti e adoranti, e verso il Padre (Gv 20,17) simboleggiato dalla mano che sta un po’ più in alto.
Il Risorto indossa una veste bianca e oro che annuncia la sua vittoria e la sua regalità. Sulle sue spalle ondeggia una stola rossa simbolo del potere e del dominio esercitati nell’amore, mentre nella mano sinistra regge una croce, come uno scettro, che fu per lui lo strumento della vittoria.
 
LA MANO DEL PADRE
Posto all’estremità superiore dell’icona c’è una mano destra benedicente. È la destra del Padre che, nel benedire dona lo Spirito (dito della mano di Dio). Per comprendere bene il significato di questo elemento è necessario far riferimento a Gv 16,7 e a Gv 14,26, dove è Gesù stesso a promettere il dono dello Spirito Santo che sarà mandato dal Padre come consolatore, avvocato cioè difensore che Dio porrà accanto ad ogni uomo. Continuerà l’opera di Gesù (Gv 14,26) in modo invisibile ed introdurrà alla verità tutta intera (Gv 16,13).
Lo Spirito Santo è dono necessario all’uomo per entrare nella comunione, che è fuoco d’amore, della Santissima Trinità (Gv 17,26).
 
ELEMENTI DECORATIVI
Tutto attorno alla croce si trovano delle decorazioni bianche che simboleggiano la vite sono quei legacci che vite stessa produce per aggrapparsi ai vari sostegni. La vite nella Bibbia è il popolo di Dio, il popolo d’Israele, la stessa Gerusalemme e il Cristo. Per portare frutto dobbiamo aggrapparci al Cristo che ha dato la sua vita per noi, per mostrarci il volto del Padre. Il Cristo che è entrato nella nostra morte e l’ha vinta per sempre.
Una miriade di conchiglie (elementi aggiunti in seguito) che, per la loro bellezza e durata simboleggiano l’eternità, incorniciano l’icona: ciò che è avvenuto avviene e avverrà, ed è un dono d’amore che continua ad offrirsi a noi. Mistero di un amore totale, gratuito e tenerissimo, al quale noi possiamo continuare ad attingere; la cornice dell’icona, alla base della croce, infatti, è aperta (si vede appena qualche personaggio forse a simboleggiare l’umanità sulla quale ricadono i benefici della passione; oppure coloro che abitavano negli inferi, luogo che secondo i Padri della Chiesa Gesù va a visitare per liberare i progenitori il venerdì Santo; oppure sei figure di santi che non sono stati identificati) e attraverso questa apertura anche noi, ma tutta l’umanità è invitata ad entrare e a partecipare del dono offerto.
 
CONCLUSIONI

Ci fermiamo a contemplare questa icona di fronte alla quale, chissà quanto San Francesco avrà sostato. Icona che dà forma alla vita di Francesco e dalla quale si lascia plasmare e tras-formare. Immagine alla quale il santo di Assisi rivolge il suo desiderio e prega con quella preghiera che inizia: “Altissimo, glorioso Dio…”.
Cosa può dire a noi e ai giovani il suo “stare e sostare” con questa preghiera?
Può essere di aiuto nell’indicarci che ciascuno ha bisogno di un tu ex-terno a sé per poter camminare, per non rimanere ripiegati su se stessi sul proprio io, ma per alzare lo sguardo e fissarlo in Dio; è così che Francesco Lo scopre grande e luminosissimo a cui chiedere luce.
Proprio per la fase della vita che i giovani stanno vivendo, il fermarsi a contemplare, può diventare “richiesta” di illuminazione per comprendere quale possa essere la loro strada specifica; richiesta di poter intendere quale sia il significato profondo dell’esistenza; richiesta forse, di una profonda liberazione del cuore, della vita, di chi sente il bisogno di essere strappato dalle tenebre della confusione e del peccato.

Francesco chiede altri doni: la fede diritta, la speranza certa e la carità perfetta. Francesco specifica come debbano essere le tre virtù teologali: una fede che sia secondo la fede della Chiesa che permetta di incontrare il Cristo ed il suo Vangelo, senza impoverimenti o deviazioni. Una speranza che si fonda sulla certezza della resurrezione di Gesù Cristo e la promessa di vita piena, felice. Una carità perfetta, che sia un amore vero, nella totale gratuità del dono di sé che giunge fino al perdono dei nemici.
E una volta capito (senno e conoscemento) ciò, essere aiutati a comprendere ancor di più ciò che Dio vuole e sentirsi sostenuti per agire poi concretamente.
Ponendoci così di fronte al crocifisso impareremo a sottoporre alla luce di Dio anche i nostri progetti e desideri, aprendoci generosamente alle “sorprese di Dio” e al suo sogno su di noi.
 

ALLEGATI