Il prof. Vittorino Andreoli ha aperto i lavori della prima giornata del XV convegno nazionale di pastorale giovanile ‘La cura e l’attesa’. Il tema: Quale adulto per una educazione possibile?
“Io mi occupo di matti”, ha esordito Andreoli. “Qui lo sapevano ma mi hanno detto che posso lasciare a casa il camice bianco perché qui non ci sono sintomi”.
“Io sono uno psichiatra che si occupa di un tipo particolare di sofferenza che però non è così lontana dalla sofferenza di cui si occupa un educatore- ha continuato Andreoli. Anche io, vedete, mi occupo di cura nel senso di occuparsi dell’altro. La cura è diversa dalla terapia. La terapia è occuparsi di un sintomo, di un organo che non va. La cura, la pre-occupazione si riferisce all’uomo tutto intero non ad un organo. Io amo l’uomo tutto intero ed è a lui che dobbiamo dare la nostra cura”.
In questa ottica, Andreoli pone l’accento sulla relazione che è fondamentale nel processo educativo e in quello di cura verso l’altro.
“L’educatore non è uno status. Non è una caratteristica che presa singolarmente fa di ciascuno di noi un educatore, proprio come qualità. L’educatore lo si vede solo nelle relazioni che ha con coloro che devono essere “allevati”. È in questo rapporto tra allievo e maestro (di vita) che emerge questa abilità. Nel dialogo non c’è uno o l’altro, ma un insieme che si interrelazione. Da qui l’importanza di ciò che emerge dal dialogo. L’educazione è ciò che emerge dalla relazione”.
Poi Andreoli ha proseguito parlando di crisi educativa che è crisi degli adulti:“Il mondo degli adulti è in crisi, ma crisi è un contenuto dell’educazione. Non pretendiamo adulti senza crisi ma adulti anche in crisi che sappiano, nonostante ciò, trasmettere principi fondamentali che sono quelli della vita su questa terra. Un uomo che è in crisi, sbaglia, ma anche l’errore può servire”.
“Gli adulti sono in crisi perché parte di una società che sta regredendo verso l’uomo pulsionale – ha spiegato Andreoli – ovvero l’uomo che vive di istinti, di libido, di impulsi improvvisi non frenati, né regolati da alcuna inibizione. E ciò perché i freni, ossia i principi non ci sono. Ma la crisi non è incompatibile con l’educare. L’educatore è uno che deve continuamente essere educato ed educare vuol dire continuamente educarsi, sentire che c’è interesse per l’altro, dedicarsi all’altro. In opposizione al dominio dell’egocentrismo di oggi e al virus del potere. La risposta – ha concluso – sta nella fragilità. Usare il potere della fragilità come mezzo per avere bisogno dell’altro. Non siamo deboli ma fragili e fragile vuol dire aver bisogno dell’altro. Si differenzia dal potente che invece ha bisogno dell’altro per sottometterlo. Il potere è stupido, è la più grande malattia sociale. Il fragile ha bisogno dell’altro perché la sua fragilità, unita a quella dell’altro, dona forza per vivere. Guai al superbo che pensa di potere tutto”.