“Un buon educatore dei giovani agisce a nome della comunità e non da solitario, è mosso dall’amore verso i ragazzi e non si fa prendere da paura e pregiudizio verso di loro, sa mettere i necessari ‘no’ dentro al grande ‘sì’ che è il Vangelo”. A ricordarlo agli oltre 700 incaricati di pastorale giovanile giunti a Bologna per il XV Convegno nazionale di pastorale giovanile (fino al 23 febbraio) è stato oggi il vescovo di Modena, monsignor Erio Castellucci, con la sua relazione su “Generare la fede. Generare una vita di fede. La comunità cristiana, educazione e gli educatori”. “Il primo fattore di sterilità nell’educazione dei giovani – ha detto il vescovo – è l’isolamento dell’educatore che può nascere da una sorta di gelosia possessiva. L’educatore chioccia è un libero battitore che toglie la libertà ai ragazzi”. Perché quando “un educatore dice ‘ i miei ragazzi’ e racchiude il suo gruppo dentro una campana di vetro, diventa sterile, non genera vita di fede”. Per mons. Castellucci l’educatore “vince la gelosia possessiva quando è mandato dalla comunità cristiana. Il suo servizio lo compie non a nome proprio ma a nome della comunità che è il soggetto educativo fondamentale”.
“L’arruolamento dei giovani”. È questa una tentazione pastorale da vincere per la comunità cristiana.
“La pastorale – ha detto Castellucci – non può essere una campagna di arruolamento più o meno forzato. Tutti chiedono di inserire dei giovani tra le proprie fila”, dai catechisti, ai movimenti, dal coro parrocchiale ai gruppi del Rosario. È piuttosto il gruppo dei giovani che, “attraverso un discernimento guidato intreccerà la sua attività con i diversi ambiti pastorali della comunità. È bene – ha avvisato il presule – che i giovani abbiano voce in capitolo negli organismi parrocchiali, in primis il Consiglio pastorale parrocchiale”. Anche all’interno del più vasto ambito della “comunità eucaristica” i giovani devono godere di qualche “atto di fiducia”, magari affidando loro nella celebrazione della messa, il canto, le letture, le intenzioni e utilizzando nelle omelie un linguaggio che eviti derivi paternalistiche”.
La formazione dei giovani “comporta esperienze di servizio sul territorio a favore delle persone bisognose, attività di svago e distensione, tempi di preghiera, incontri con persone che possono are testimonianze vive di fede. Quando gli ingredienti sono questi non è sempre vero che i giovani spariscono perché sperimentano la comunità cristiana”.
“Gli educatori dei giovani – ha detto Castellucci – hanno il compito di iniettare nella comunità cristiana una visione più completa dei ragazzi, meno pregiudiziale e colpevolizzante. Oggi di bene ce n’è davvero tanto tra i giovani ma molti adulti, specie quelli che vivono nei ricordi, non lo sanno, sono sopraffatti dalle notizie cattive e seguono il modello della corruzione dei giovani di oggi”. Attraverso i giovani, ha concluso mons. Castellucci, “si costruiscono più spontaneamente quei ponti che aiutano a buttare giù i muri e vivere nel rispetto reciproco”.
Daniele Rocchi (Agensir)