La proposta che segue è relativa alla preghiera durante l'estate ragazzi.
L'intenzione è di suggerire alcuni atteggiamenti da assumere e da sperimentare più che offrire dei contenuti.
A ciascun responsabile, insieme alla sua comunità (parrocchiale o diocesana) resta in capo il compito di elaborare un eventuale percorso (biblico e catechistico).
Inserire una attenzione legata alla preghiera non significa, evidentemente, dare un “bollino di cattolicità” (non garantibile, di per sé, nemmeno dal fatto che le attività vengano proposte da una parrocchia o svolte, là dove possibile, negli spazi di una comunità ecclesiale).
Significa dire anzitutto a noi stessi che ogni nostra iniziativa, anche quando rappresenta la risposta ad un bisogno sociale, nasce con una intenzione pastorale, legata perciò alla evangelizzazione.
È l’evangelizzazione che ci spinge a farci carico dei bisogni degli altri; altrimenti – secondo la nota espressione di Papa Francesco – la Chiesa diventa una “Ong pietosa”.
La scelta di segnalare 6 verbi esprime la volontà di sperimentare, agendo.
La prima serie suggerisce, come detto, alcune attenzioni per gli educatori e quanti, in vario modo, avranno cura della dimensione religiosa della proposta estiva.
La seconda serie è legata ai ragazzi: può costituire – ambiziosamente – quasi un “metodo”, ovvero una sequenza di azioni (gesti o atteggiamenti) che possono essere vissuti in sequenza inizialmente con l’aiuto di una figura educativa, per diventare poi un modo per vivere la preghiera personale.
Sei verbi per i responsabili
ACCOGLIERE
Se la Chiesa non cresce per proselitismo, ma per attrazione, l’atteggiamento da avere non può che essere quello dell’accoglienza cordiale e sincera.
Non abbiamo premura di incasellare, di “intruppare” ma di poter dire, in qualche modo, che ciascuno agli occhi di Dio è prezioso così come è in quel momento.
Ci si mette alla presenza del Signore per sperimentare questa accoglienza: scoperta del Suo Volto e, in Lui, riscoperta della nostra identità.
VALORIZZARE
Lo Spirito guida, precedendola, ogni iniziativa ecclesiale.
Questo significa che i bambini e i ragazzi che incontriamo sono già abitati da Dio.
Occorre imparare a dare loro voce non per concessione ma per convinzione: i piccoli sono portatori di un punto di vista originale che può offrire a tutti uno sguardo nuovo sul Vangelo e sulla vita. Di-ventano protagonisti anche della loro crescita nella fede.
La preghiera non si limiterà, dunque, a vederli “spettatori” o, peggio, esecutori (la preghiera non è “fare cose”, tantomeno cose che i grandi hanno deciso essere “adatte ai piccoli”).
Proverà ad essere un momento nel quale a loro misura possano essere messi nelle condizioni di condividere ciò che la Parola fa risuonare in loro e in tutti.
ACCOMPAGNARE
Ogni crescita, anche quella nella fede, domanda gradualità.
Occorre essere accompagnati, perciò, anche nella preghiera. Un buon accompagnamento è la con-seguenza di una buona accoglienza.
Soprattutto nel contesto di una piattaforma digitale ci sarà bisogno di molta pazienza nel mettere ciascuno nelle condizioni di vivere al meglio quanto proposto.
Per bene accompagnare occorre bene preparare: tanto le parole giuste (nel numero e nel significato) come gli eventuali materiali.
PROPORRE
La gradualità non è appiattimento. È coscienza di un punto di partenza, non pretesto per rinunciare al cammino. È importante non proiettare le nostre fatiche (anche quelle legate alla preghiera) per impoverire ciò che offriamo ai più piccoli.
Se l’accoglienza è stata buona e l’accompagnamento non è stato direttivo, la preghiera sarà una se-rena proposta, complementare (capace cioè di dare compiutezza, oltre che di armonizzarsi natural-mente) rispetto a tutte le altre legate a questo tempo estivo.
CELEBRARE
Nei sacramenti noi vediamo che alcuni elementi (l’acqua, l’olio, il pane, il vino) diventano segni della presenza di Dio. La preghiera non ci allontana dalla vita quotidiana: la accoglie e la celebra. Accompagnare i ragazzi significa, ancora una volta, valorizzare la loro esperienza anche facendo spazio a ciò che descrive la loro vita e le loro relazioni. Non si tratta di aggiungere ai sacramenti al-tri elementi (spesso più vicini al folclore e al punto di vista “indotto dai grandi”) ma di cogliere la logica che i sacramenti esprimono e riportarla in altri momenti. La preghiera, mentre invoca Dio, valorizza (celebra) ciò che la vita di buono e di bello sa esprimere; senza idolatrarla, ma facendone nella logica della Incarnazione, il luogo dell’incontro con il Signore.
Questo potrà significare immaginare di legare la preghiera a giornate, o luoghi o oggetti capaci di evocare situazioni particolari, offrendo ai ragazzi da un lato l’opportunità di vedere valorizzata la loro esperienza, dall’altro la possibilità di rileggere i loro vissuti nella luce della fede.
PREGARE
Parlare a Dio è la condizione per parlare di Lui. Altrimenti la preghiera diventa una cosa da orga-nizzare, che subiamo noi e che facciamo subire agli altri, in una prospettiva di “dovere da assolvere” più che di “incontro da vivere”. Come educatori non cessiamo mai di essere anzitutto dei discepoli. Possiamo continuare (o iniziare) a confrontarci insieme, come comunità educante, sul nostro cam-mino di fede. È una opportunità che ci viene offerta ed un modo per camminare insieme ai più pic-coli: nella opportuna distinzione dei linguaggi e degli strumenti (valgono anche per noi l’accoglienza e la gradualità), condividiamo la loro ricerca. Non siamo degli arrivati che attendono i piccoli al traguardo. Nemmeno degli spettatori che, dalle tribune, fanno il tifo o danno indicazioni. Siamo, semplicemente, pellegrini, fratelli.
Sei verbi per i ragazzi
APRIRE
“Io sto alla porta e busso” (Ap 3, 20). La preghiera inizia quando proviamo ad aprire la porta del cuore e della vita al Signore che vuole incontrarci e parlarci.
Prova a usare un po’ di tempo per fermarti, per sospendere le altre cose che stavi facendo e trovare tranquillità. Chiedi allo Spirito Santo di aiutarti.
Puoi rimanere in silenzio qualche istante.
Nella preghiera noi diciamo di “ascoltare con il cuore”. Non significa non aprire gli orecchi ma lasciare che la Parola di Gesù coinvolga tutta la nostra vita.
ASCOLTARE
Abbiamo bisogno di essere ascoltati, è vero.
Quando l’essere ascoltati diventa una pretesa, la chiamiamo capriccio.
Nella preghiera noi impariamo quella che è pure la prima regola di ogni amicizia: ascoltare l’altro, che è il modo per fargli spazio nel nostro cuore. La preghiera non inizia con le cose che possiamo dire a Dio, ma con quelle che Lui vuole dire a noi. Le scopriamo nel Vangelo. Siamo aiutati a capirle meglio anche ascoltando le parole degli educatori e di chi ci accompagna.
RISPONDERE
Il Signore, però, non vuole lui per primo pretendere il nostro ascolto. Se ci parla è per iniziare un dialogo con noi. L’ascolto della sua Parola vuole lasciare spazio alla nostra risposta: come il Vange-lo parla alla mia vita? Che cosa mi permette di scoprire? Come mi aiuta a dare una nuova forza al bene che posso fare, al perdono che posso offrire o chiedere, alla mia ricerca di felicità, alle doman-de alle quali faccio fatica a rispondere? Dopo averlo ascoltato, posso parlare al Signore. Attraverso la sua Parola, lui vuole farsi conoscere da me. Attraverso le mie parole, io posso farmi conoscere da Lui. Come in ogni vera amicizia.
GUARDARE
Se con un amico parlo solo di me stesso, forse rischio di diventare noioso. Insieme ci possiamo confrontare su ciò che ci appassiona: la squadra preferita, la musica che ci piace sentire… Oppure pos-so confidargli qualche preoccupazione: per una persona cara che non sta bene, per un problema di cui ho sentito parlare in casa…
La preghiera non ci chiede mai di fermarci a noi stessi: allarga il nostro sguardo. Non parliamo al Signore solo di noi ma, davanti a Lui, ci ricordiamo delle persone a cui vogliamo bene e che ci fan-no sentire amati; dei problemi che ci riguardano o di quelli che scopriamo dalla tv o da internet. Es-sere attenti alla vita e ai bisogni degli altri rende la nostra preghiera più ricca, perché la diventiamo come i “portavoce”. La chiamiamo “intercessione”: è la disponibilità a pregare non solo per ciò che interessa a noi; è la capacità di non essere mai chiusi in noi stessi.
LODARE
Ci sono parole che noi usiamo nella nostra preghiera. Tra tutte, le più grandi sono quelle che ci ha insegnato Gesù stesso. Con le parole noi descriviamo i nostri sentimenti, i nostri desideri, i nostri impegni. Nella Bibbia, il libro dei Salmi contiene tante parole che ancora oggi accompagnano la preghiera dei cristiani.
Dopo aver ascoltato la sua Parola e aver pensato alla nostra vita e a quella di tanti altri uomini e donne, ragazzi e ragazze, possiamo esprimere il nostro affetto, la nostra gratitudine al Signore. Dir-gli, in qualche modo, che anche noi gli vogliamo bene.
Possiamo usare parole antiche e nuove, possiamo cantare… possiamo – insomma – con la voce “ti-rare fuori” ciò che sentiamo nel cuore.
VIVERE
La preghiera non finisce quando abbiamo terminato di parlare o di cantare. Tante volte preghiamo perché cambi qualcosa attorno a noi: chiediamo al Signore di far succedere qualcosa di bello… e non sempre questo succede. Una cosa succede, però, sempre se la nostra preghiera è sincera: cam-biamo noi. Cambia il nostro modo di guardare a noi stessi e agli altri, cambia la nostra voglia di amare persino quelli che ci stanno antipatici, cambia la nostra pigrizia e diventa generosità. Preghiamo per vivere, perché tutta la nostra vita assomigli al Vangelo che abbiamo ascoltato.
Così la preghiera si può concludere anche con un piccolo impegno, un desiderio che renda la giornata più bella. Possiamo chiedere a Gesù che, con il suo Spirito, ci aiuti ad affrontare bene tutto ciò che vivremo, da soli o con gli altri: lo studio e il gioco, mangiare e riposarsi, aiutare ed essere aiutati.