Quello che è accaduto negli ultimi anni, difficilmente si ripeterà. E, come spesso accade, è accaduto sotto i nostri occhi senza che quasi ce ne accorgessimo.
Quasi dieci anni fa, i vescovi italiani scrivevano gli orientamenti pastorali per questo decennio dedicandolo all’educazione. Nell’introduzione di «Educare alla vita buona del Vangelo» si leggeva: «Mentre, dunque, avvertiamo le difficoltà nel processo di trasmissione dei valori alle giovani generazioni e di formazione permanente degli adulti, conserviamo la speranza, sapendo di essere chiamati a sostenere un compito arduo ed entusiasmante: riconoscere nei segni dei tempi le tracce dell’azione dello Spirito, che apre orizzonti impensati, suggerisce e mette a disposizione strumenti nuovi per rilanciare con coraggio il servizio educativo ». (Evbv, 5) Ci sarebbe davvero da chiedersi quali segni dei tempi abbiamo letto in questi dieci anni, quali tracce dell’azione dello Spirito siamo stati capaci di individuare. Sono certo che non sono mancati «segni e tracce», ma nel frattempo risuona ancora quel «Non viviamo in un’epoca di cambiamento, viviamo in un cambiamento d’epoca» che papa Francesco disse a Firenze il 10 novembre del 2015.
Come un istante in cui tutto cambia, lo sguardo si è aperto su una situazione che stava sotto i nostri occhi e di cui si parlava molto ma quasi senza rendersi conto di cosa volesse effettivamente dire. E cioè che non basta l’entusiasmo e la fiducia: c’è da mettere in gioco anche quell’intelligenza del cuore che sa scorgere strade nuove, sa trovare il coraggio di non adagiarsi e di riconoscere quali sono i passi da compiere. Senza inutili strappi, ma anche senza vane nostalgie.
In questo senso il Sinodo è stato un annuncio potente e – di nuovo – carico di speranze. Chi cercasse di ridurlo al mese di ottobre 2018 o alla pubblicazione di un documento, sarebbe davvero fuoristrada. Il Sinodo è stato un cammino di due anni abbondanti dove con il pretesto di mettere al centro i giovani, gli adulti hanno finito per interrogarsi su di sé e la Chiesa ha capito il bisogno di darsi una forma per questo tempo così affascinante, seppur complesso. Sono le stesse istanze del Concilio che risuonano da più di cinquant’anni ma che forse non abbiamo ancora del tutto raccolto.
Il convegno nazionale di pastorale giovanile che si apre il 29 aprile a Palermo, si colloca in questo momento così particolare: un decennio sull’educazione che si chiude nel quale è stato celebrato un Sinodo mondiale sui giovani. Da pochi giorni è stata consegnata anche l’Esortazione apostolica di papa Francesco che chiude il percorso sinodale affidandolo alle Chiese locali perché lo riaprano nel loro vissuto. Sentiamo il bisogno di vivere questo appuntamento come l’occasione per raccogliere quanto emerso dal percorso di questi dieci anni, cercando di individuare le «parole coraggiose» emerse dal Sinodo che ci spingono a disegnare un tracciato per la pastorale giovanile dei prossimi anni. È impegno quotidiano di molti. Bisogna trovare il modo di farlo diventare impegno dell’intera comunità, perché è soltanto in un contesto di relazioni che la Chiesa ha saputo educare in modo buono ed efficace. Lo faremo prendendoci per mano, sicuri che camminare insieme aiuta tutti a non lasciare che le difficoltà prendano il sopravvento e soprattutto a percepire la bellezza di poter valorizzare il contributo di ciascuno.
(Avvenire, 24.04.19)