Don Lorenzo Milani voleva essere “riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale”. Lo aveva scritto, più volte ma invano, al suo vescovo. “Oggi, lo fa il vescovo di Roma”. Si è conclusa con questo atto solenne, compiuto e pronunciato al termine di una visita privatissima che lo ha portato, dopo la chiesa, nel cortile con la scritta “I care” e accanto alla piscina dove i ragazzi di don Lorenzo hanno imparato a nuotare nelle acque della vita, la visita di Papa Francesco a Barbiana. “Prima di concludere, non posso tacere che il gesto che ho oggi compiuto vuole essere una risposta a quella richiesta più volte fatta da don Lorenzo al suo vescovo, e cioè che fosse riconosciuto e compreso nella sua fedeltà al Vangelo e nella rettitudine della sua azione pastorale”, le parole del vescovo di Roma, che nel tributare il suo atto di omaggio al prete “trasparente e duro come un diamante”, ha fatto proprio lo sguardo di sua madre Alice. La mattinata di Papa Francesco è cominciata di buon ora a Bozzolo, per un tributo al “parroco d’Italia”, don primo Mazzolari, “parroco dei lontani” e antesignano della sua “Chiesa in uscita”. Il 18 settembre, ha annunciato il vescovo di Cremona, monsignor Antonio Napolioni, salutando Francesco, inizierà il processo di beatificazione del parroco di Bozzolo. Sia a Bozzolo sia a Barbiana, tutto è iniziato con la preghiera silenziosa sulle tombe dei due sacerdoti.
“I parroci sono la forza della Chiesa in Italia”,
esordisce a Bozzolo il Papa assicurando che il magistero dei parroci – non solo quello di don Mazzolari, parroco d’Italia – fa tanto bene a tutti. Il fiume, la cascina e la pianura, le tre immagini scelte da Francesco per ripercorrerne l’attualità del messaggio, in un discorso molto ampio e infarcito di citazioni del sacerdote della “Bassa”: il fiume, la cascina e la pianura. Don Primo non si è tenuto al riparo dal fiume della vita. Amare il proprio tempo è stata la sua profezia:
“Don Mazzolari non è stato uno che ha rimpianto la Chiesa del passato, ma ha cercato di cambiare la Chiesa e il mondo attraverso l’amore appassionato e la dedizione incondizionata”. Non ha mai ceduto alla tentazione di “balconare la vita”, dice Francesco a braccio.
“Abbiamo del buon senso! Non dobbiamo massacrare le spalle della povera gente”. Cita don Mazzolari, il Papa, e ripete il suo invito, a braccio, “a tutti i preti dell’Italia e anche del mondo”, per spiegare come don Primo fosse il parroco dei lontani, non di un apostolato a tavolino. La cascina, la casa, ci dicono che per camminare bisogna uscire e preoccuparsi dei bisogni degli uomini. Poi c’è la grande pianura, quella della Chiesa che non fa proselitismo ma sa ascoltare il mondo, per “diventare Chiesa povera per e con i poveri”. Come don Primo, che “ha vissuto da prete povero, non da povero prete”. E c’è una bella differenza. Don Mazzolari era un prete che sapeva mettersi davanti, in mezzo e dietro al gregge: lui, e molti altri preti come lui, “hanno visto lontano, e seguirli ci avrebbe risparmiato sofferenze e umiliazioni”.
Quando arriva a Barbiana, Francesco usa subito la parola “dignità” per far capire il senso e la portata della buona battaglia condotta da don Lorenzo. Mentre parla, ha davanti i suoi ex allievi, trenta sacerdoti – dai più anziani, suoi compagni di seminario, fino ai più giovani ordinati l’anno scorso – e una rappresentanza delle 200 case di accoglienza delle diocesi di Firenze.
“Ridare ai poveri la parola, perché senza la parola non c’è dignità e quindi neanche libertà e giustizia: questo insegna don Milani. Ed è la parola che potrà aprire la strada alla piena cittadinanza nella società, mediante il lavoro, e alla piena appartenenza alla Chiesa, con una fede consapevole”.
Nel pronunciare queste parole, indicate come sintesi della passione educativa del priore di Barbiana, diretta conseguenza della sua missione di prete, Francesco auspica anche per il nostro tempo – a partire dalla parola – la “piena umanizzazione che rivendichiamo per ogni persona su questa terra, accanto al pane, alla casa, al lavoro, alla famiglia”. Un “grazie” anche agli educatori, quelli che insegnano che la cosa essenziale è la crescita di una coscienza libera. Come scrive don Lorenzo in “Lettera a una professoressa”:
“Ho imparato che il problema degli altri è eguale al mio. Sortirne tutti insieme è la politica. Sortirne da soli è l’avarizia”. È un appello alla responsabilità, sottolinea Francesco, a vivere la libertà come ricerca del vero, del bello e del bene. “E senza compromessi”, aggiunge a braccio.
In don Lorenzo, tutto nasce dal suo essere prete, e prima ancora dalla sua fede profonda e totalizzante. Quella di uomo “trasparente e duro come un diamante”, come lo ha definito il suo padre spirituale, don Raffaele Bensi. Nelle parole di sua madre, don Lorenzo era dominato dalla sete di assoluto, senza la quale “si può essere buoni funzionari del sacro, ma non si può essere preti”, ammonisce Francesco. E proprio del desiderio di Alice il Papa si fa esecutore, quando da vescovo di Roma riconosce la fedeltà al Vangelo e la rettitudine dell’azione pastorale di questo figlio della Chiesa: “Mi preme soprattutto che si conosca il prete, che si sappia la verità, che si renda onore alla Chiesa anche per quello che lui è stato nella Chiesa e che la Chiesa renda onore a lui”. Oggi, questo desiderio si è compiuto.
“Il prete trasparente e duro come un diamante continua a trasmettere la luce di Dio sul camino della Chiesa”. “Prendete la fiaccola e portatela avanti”, la consegna a braccio del Papa da Barbiana.
(Michela Nicolais, SIR - 20 giugno 2017)