La questione della cura educativa non è legata solo al tema del “saper fare”, ma prima ancora a quello del “saper essere”. Chi si ritrova ad avere a che fare con i giovani ne respira gli slanci, ma anche i facili entusiasmi.
29 Novembre 2013
La questione della cura educativa non è legata solo al tema del “saper fare”, ma prima ancora a quello del “saper essere”. Chi si ritrova ad avere a che fare con i giovani ne respira gli slanci, ma anche i facili entusiasmi; i sogni, ma insieme anche illusioni e abbagli sempre in agguato. E così l’educatore rischia di cadere facilmente nella tentazione di non avere tenuta di fronte a questi contini sbalzi di tensione. Quante volte la stanchezza di educatori ed operatori pastorali viene dallo sconforto di dover troppo rapidamente “ricominciare da capo”?
C’è bisogno di una passione profonda che torni senza paura alla domanda: perché lo facciamo? E perché lo dobbiamo fare?
E’ una frase scontata, ma vera: vogliamo bene ai nostri ragazzi e vogliamo il loro bene. Ci dispiace e soffriamo nel vederli sbandati, in balìa di se, senza futuro, implicati in problemi e drammi più grandi di loro. Ci dispiace e soffriamo nel vederli alla deriva sul fronte dell’impegno e della speranza, prigionieri di un materialismo soffocante e senza ideali; a volte persino nel giro di circuiti di morte. Sicuri che dal Vangelo viene ancora la parola buona che permette di incontrare il cuore della vita e il suo senso.