Spesso, quando si parla di vocazioni, il discorso assume una tinta fosca, come se l’evidente crisi numerica di chi sceglie di entrare in Seminario o di iniziare un cammino di consacrazione fosse segno di un futuro cupo e senza speranza. Spesso, pensiamo che l’argomento riguardi soltanto alcuni e soltanto i giovani, ma non è così. «La parola 'vocazione' non è scaduta – ha detto Francesco nel discorso ai partecipanti al convegno dei direttori nazionali vocazioni del 6 giugno 2019 –. L’abbiamo ripresa nell’ultimo Sinodo, durante tutte le sue fasi. Ma la destinazione rimane il popolo di Dio, la predicazione e la catechesi, e soprattutto l’incontro personale, che è il primo momento dell’annuncio del Vangelo (Eg 279). Conosco alcune comunità che hanno scelto di non pronunciare più la parola '’vocazione' nelle loro proposte giovanili, perché ritengono che i giovani ne abbiano paura e non partecipino alle loro attività. Questa è una strategia fallimentare: togliere dal vocabolario della fede la parola 'vocazione' significa mutilarne il lessico correndo il rischio, presto o tardi, di non capirsi più».
Non possiamo non constatare che la parola è diventata inattuale soprattutto perché quando la pronunciamo si innesca in automatico un passaggio mentale tra la vocazione e le sue forme: pensiamo ai preti, ai consacrati e forse al matrimonio cristiano.
In questo modo, però, è come guardare ai frutti senza considerare le radici. Si tratta, invece, di riconoscere che la vocazione ha a che fare con la struttura stessa dell’uomo. Prendiamo dalla liturgia un versetto del Salmo 28: «Se tu non mi parli, sono come un uomo che scende nella fossa». Il salmista si riferisce al Signore e all’esperienza del suo silenzio, fa sentire tutta l’arsura del cuore e il desiderio di essere raggiunti da una sua parola. Ma non è così in qualsiasi relazione d’amore e di amicizia? Non freme il cuore nel desiderio di una chiamata o un messaggio? Solo 14 caratteri, per sentirsi dire 'ti voglio bene' o 6 – spazi inclusi – per dirsi 'ti amo'.
L’uomo è un essere vocazionale perché tutto in lui ha origine dalla parola. Questo fa parte del 'principio attivo' della Creazione – che è il Verbo di Dio (cf. Gen 1,3; Gv 1,1) – e intreccia tutta l’esistenza dell’uomo. Ancora prima di nascere, perché stringendo al petto la meraviglia della vita le si possa dare il benvenuto. Quanto peso le parole nel tempo dell’adolescenza: quanto è importante il giudizio degli altri; quanta fatica nella vita adulta per dirsi le parole importanti, per chiedere e offrire perdono; quanta lotta per riconoscere le parole a cui credere e a fuggire le malvagie. Quanta bellezza nel lento riconoscere che 'di fronte' e 'in mezzo' a questi sta anche un altro volto, quello del Padre che si rivolge a noi con cuore grande: «Tu sei mio figlio». È da lì che partono le vocazioni, come semi che ad un certo punto decidono di sbocciare. È lì – alla sorgente – che da adulti tocca tornare per rispondere alla vocazione che si fa concreta, lungo tutto il tempo della vita.
Michele Gianola © Avvenire, 10 luglio 2019