Scegliere non è sempre facile. E non tanto perché ogni scelta implica una rinuncia quanto piuttosto perché ci richiede di fare i conti con noi stessi, con le nostre vite e con l’idea di mettere a rischio qualche certezza. Non si tratta solamente di mettersi a nudo dinnanzi alle grandi domande (chi sono io? Dove voglio andare? Qual è il mio posto nel mondo?) ma soprattutto di provare a non perdere il filo della nostra esistenza, per rimanere vigili su ciò che ci circonda, sulle persone che ci stanno accanto e sulle questioni del mondo. Ogni nostra scelta e ogni nostra azione, dunque, dovrebbero richiederci di volgere uno sguardo sulla realtà di tutti i giorni, e di discernere su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Eppure per noi giovani di oggi, influenzati da una società che ci propone di uniformarci a certi standard, indicandoci la strada per rinunciare alla progettualità dei sogni, appare sempre più scontato «da che parte stare ». Il tempo più bello e prezioso della nostra storia è spesso
costretto in una scatola preconfezionata, le cui istruzioni indicano tappe e modalità per ottenere l’approvazione generale e sentirsi appagati. L’idea di poter essere protagonisti della nostra vita ci spaventa.
Piuttosto che quello suggerito e maturato nell’intimità della nostra coscienza, il metro principale delle nostre scelte finiscono per essere gli altri. Così, mancato un obiettivo e deluse le loro aspettative, nulla sembra avere senso. Se è vero che ciò che siamo è inevitabilmente il frutto del nostro vissuto, fatto di incontri e relazioni, il rapporto con l’altro non può e non deve essere ricostruito in termini di 'influenza' (come ci suggeriscono le piattaforme social) ma in termini di 'confronto'. L’altro è scoperta. È la lente che permette di guardarci dentro ogni giorno e di misurarci con le cose del mondo. L’altro è il 'luogo' prezioso in cui scambiare le idee per dare forma ai nostri pensieri e sogni. Occorrerebbe riscoprire la bellezza che si cela nel confronto sincero con l’altro per comprendere che le scelte si maturano pian piano e che una scelta sbagliata non implica un fallimento, ma determina
una possibilità, la possibilità di rimettersi in gioco e di scoprire ancora qualcosa di sé. È proprio in funzione di ciò, che, per noi giovani, il dialogo con un adulto che non sia 'giudice' ma che si faccia 'compagno' diventa determinante oltre che necessario. È il confronto con un mondo adulto che sappia tirare fuori dubbi, domande, curiosità, che forma continuamente la nostra identità: ci aiuta a crescere liberi di rischiare e di sbagliare, ma soprattutto consapevoli che Dio ci vuole protagonisti e ci chiama a fare grandi cose. Francesco ce lo ricorda quando dice che «si tratta di intravedere il mistero del progetto unico e irripetibile che Dio ha per ciascuno... È in gioco il senso della mia vita davanti al Padre che mi conosce e mi ama, quello vero, per il quale io possa dare la mia esistenza, e che nessuno conosce meglio di Lui» (Cv, 280).
Martina Sardo © Avvenire, 10 luglio 2019