Alle volte si sente dire «quella persona è tutta d’un pezzo!». Cosa c’è dietro un’espressione del genere? Forse l’idea che una persona sia matura quando ha raggiunto la sua forma 'perfetta'? Oppure la convinzione che un giovane sia autonomo quando non ha bisogno di nulla, poiché ha raggiunto i suoi obiettivi e le sue aspirazioni affettive, professionali ed economiche?
L’essere tutto d’un pezzo suggerisce un certo immobilismo, una staticità che non porta da nessuna parte. Una fissazione autoreferenziale su di sé, sui propri problemi e suoi propri bisogni, che non riesce a vedere nessuno se non se stesso. E se la parola 'unici' ci facesse pensare a una unità imperfetta ma che rimane comunque originale? Unico è quel lavoretto di scuola uscito male che da bambino hai fatto a tua madre o a tuo padre in un’occasione particolare. Unico è lo sguardo di quel ragazzo che ti ha fatto innamorare per la prima volta. Unico è quello slancio un po’ incosciente di un giovane che decide di percorrere una strada lavorativa senza avere la pretesa di controllare tutto.
Unici siamo noi quando abbiamo il coraggio di muovere passi incerti verso gli altri, verso una persona speciale, verso la vita. La nostra unicità la possiamo sperimentare solo nella relazione perché «non si può dipingere di bianco il bianco, di nero il nero. Ciascuno ha bisogno dell’altro per rivelarsi» (Manu Dibango, musicista).
Se non ci fosse nessuno nella vita di qualcuno, costui non sarebbe 'unico', ma semplicemente 'solo'. Questo significa che solo nella relazione siamo 'unici', cioè siamo uno, insieme. C’è una pluralità di relazioni che dice l’unicità di ciascuno. È interessante leggere in questa prospettiva relazionale i cammini di fede dei nostri gruppi di giovani e di adolescenti: non è possibile, oggi, pensare a una formazione che non sia di gruppo, che non abbia la dimensione comunitaria come ambiente nel quale crescere e maturare, nella vita e nella fede. Allo stesso modo non si può prescindere dal considerare una formazione cristiana che non sia integrale, ovvero che tenga insieme tutte le aree di crescita della persona. Quante volte, nella nostra pratica pastorale, proponiamo dei percorsi tematici che tendono a escludere qualche tema, come se il problema principale da affrontare riguardasse solo quell’area specifica della formazione. O peggio, scegliamo di non parlare di alcune questioni e di delegarle a persone 'esperte in materia' senza darci la possibilità di imparare a condividere in maniera profonda il nostro vissuto. Dobbiamo osare parlare di argomenti che ci spaventano anche se non ci sentiamo 'perfetti' e maturi abbastanza. Condividere la fatica è cosa normale per chi sceglie di mettersi in cammino accompagnando altri giovani nella fede. A questo punto possiamo chiederci se valga ancora la pena perseguire l’ideale irrealistico di essere donne e uomini 'tutti d’un pezzo', oppure scegliere di essere, insieme, 'pezzi unici' perché originali, nella nostra frastagliata unicità dell’imperfezione.
Davide Abascià © Avvenire, 10 luglio 2019