SERVIZIO NAZIONALE PER LA PASTORALE GIOVANILE
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Le attenzioni-competenze: aprire luoghi

Non bastano più le semplici «strutture» Serve una logica meno funzionale che valorizzi la dimensione relazionale e anche quella identitaria
9 Gennaio 2020

Una nuova pedagogia che ripensi gli «spazi» (non solo quelli fisici)

Ha ancora senso parlare, in ordine alla trasmissione della fede, alla proposta di un’esperienza legata a spazi fisici precisi? O forse la forte mobilità che caratterizza il contesto giovanile e relative appartenenze molteplici, deboli e frammentate, oltre alla digitalizzazione, devono convincerci che la pastorale giovanile del futuro deve lasciar cadere il riferimento a luoghi educativi ben identificati e puntare solo su relazioni estemporanee?
Forse la risposta a questi quesiti sta nella scelta di puntare su spazi che sappiano essere realmente luoghi. Non bastano delle semplici strutture. La nostra epoca vede una mutazione veloce e profonda del modo di vivere gli spazi, soprattutto nell’ambito giovanile, segnato dall’assenza sempre più frequente di soglie il cui esito è una diffusa deterritorializzazione nella quale l’appartenenza a un luogo non è più legata a una presenza fisica. La terra non pare più grembo materno, ma solo suolo e pavimento. Il rischio è quello di non abitare più nessun luogo ma di consumare
spazi secondo la logica individualistica e utilitaristica.
La pastorale giovanile non richiede più spazi e neppure nuovi luoghi. Si tratta dunque di ripensare in modo radicale i luoghi. Nonostante tutto, il luogo resiste, rimanendo un’esperienza originaria, incancellabile e tipicamente umana. Questo non significa che tutti i luoghi in automatico risultino significativi, ma spinge invece a cercare le condizioni preliminari a partire dalle quali i luoghi possono mantenere il loro ruolo nella trasmissione del senso. Il luogo è uno spazio umano che si differenzia dallo spazio naturale. Esso è non solo uno spazio interpretato, ma anche capace di fornire a chi è al suo interno chiavi di interpretazione in riferimento al senso della realtà. Ogni luogo per essere tale deve connettersi a tre dimensioni fondamentali: l’identità (soggettività), la relazione (socialità), il tempo (storicità). L’identità riguarda il fatto che in un luogo ogni persona rielabora la propria personale soggettività, attraverso un ruolo, un progetto, una possibilità di espressione. La relazione ha a che fare con la socialità e con il noi che il luogo è capace di creare attraverso
la comunicazione e l’incontro. Il tempo si riferisce al fatto che il luogo è capace di creare una continuità, attraverso il dipanarsi di una storia. Il luogo si colloca dunque come «terra di mezzo» tra tre esigenze: l’identità del singolo, la costruzione di un vissuto comune attraverso dei legami sociali e la storicità dell’esperienza. C’è dunque bisogno di una nuova pedagogia dei luoghi, che ripensi il senso e il valore degli spazi nel contesto culturale contemporaneo. Anche i discepoli di Gesù chiedono un luogo e vengono invitati a seguirlo: «Videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui» (Gv 1,38-39). La pedagogia dell’esperienza dei luoghi procede in una logica sempre meno funzionale e sempre più in chiave simbolica, valorizzando la dimensione relazionale e quella identitaria. Si tratta di andare oltre i luoghi comuni.

Samuele Marelli @Avvenire, 03/07/2019