In corsa per l’Oscar 2016, opera prima del regista esordiente László Nemes, 'Il figlio di Saul' è la storia dell’ebreo Saul Auslander – interpretato dal poeta-scrittore Géza Röhrig –, internato nel campo di concentramento di Auschwitz, il quale nei gruppi Sonderkommando è costretto a occuparsi della tragica fine dei prigionieri. Mentre lavora in uno dei forni crematori, scopre il cadavere di un ragazzo in cui crede di riconoscere il figlio. Saul dunque fa il possibile per salvare quel corpo e offrirgli una corretta sepoltura, con il conforto della preghiera.
Un film che arriva nelle sale proprio in questi giorni in cui si celebra il Giorno della Memoria e il mondo guarda a Roma e al Giubileo della Misericordia, tema che si lega alla Polonia e ad Auschwitz in vista della GMG.
«Nemes mette in campo due importanti soluzioni: fa svolgere in un contesto dove la ragione ha abdicato alla follia una storia “impossibile” di religione e di pietà. Rinuncia, al momento di avviare la macchina da presa, ai formati spettacolari per scegliere quello ridotto, quello piccolo. Una soluzione di stile finalizzata a non allagare lo sguardo sull’orrore delle immagini. L’azione si volge quasi tutta all’interno di corridoi, stanzoni, spazi privi di luce dove la mancanza di respiro toglie ogni anelito di vita. Nel finale arriva la domanda a lungo attesa: Saul preferisce la sepoltura di un ragazzo di fronte all’uccisione dei tanti innocenti? Il quesito apre problemi morali profondi e forse insolubili. Seguire Saul e il suo punto di vista evita insistenze, ripetizioni, distrazioni. La regia pedina ogni angolo del campo, alzando lo sguardo ad altezza di pietà e compassione. Si tratta di un film che ripropone argomenti su cui è sempre opportuno riflettere e che, dal punto di vista pastorale, è da valutare come consigliabile, problematico e adatto per dibattiti» (www.cnvf.it).