Eccoci a Rio! Diciotto ore di viaggio... ma ne è valsa la pena!
Il nostro gruppo, composto da diciannove persone, è molto eterogeneo per età, provenienza e percorsi passati, ma si è subito amalgamato per la forza dell'esperienza che sta vivendo.
Siamo rimasti colpiti dall'accoglienza festosa che ci ha riservato la comunità ospitante della Paróquia Santo Antônio de Pádua e Nossa Senhora da Boa Vista nel Barrio (quartiere) Cachambi, nella zona settentrionale di Rio de Janeiro. Hanno organizzato per noi una bella festa, culminata nella S. Messa comunitaria e nella cena con piatti tipici locali che è seguita: ci hanno coinvolti in particolare la gioia di questa Chiesa brasiliana e la partecipazione entusiasta alla liturgia. Tutto il gruppo è ospitato, a coppie, da famiglie della parrocchia: da parte di queste l'accoglienza è stata, se possibile, ancora più calorosa che in parrocchia. Comunichiamo chi in portoghese, chi in spagnolo, chi in italiano: qualsiasi tentativo è ampiamente apprezzato.
Respiriamo un clima di condivisione tra pellegrini: tutto il Triveneto - circa duecento giovani e meno giovani - si ritrova presso questa parrocchia, che è anche il luogo delle catechesi per noi e per altri gruppi del Nord Italia. La condivisione prosegue anche sulle strade di Rio, nell'incontro con altri gruppi di italiani e di pellegrini stranieri, con i quali ci salutiamo sventolando le nostre bandiere.
Nella mattinata di lunedì abbiamo fatto tappa a Casa Italia a Copacabana, per ritirare lo zaino con il kit del pellegrino, e lì abbiamo incontrato Lara Corsini di Francenigo, che qui svolge il suo servizio di volontariato, e don Michele Falabretti, responsabile del SNPG.
La città di Rio ci è apparsa subito come luogo di contrasti: ai grattacieli delle zone centrali si contrappongono le favelas inerpicate sui morros - le ripide colline circostanti. Più ancora di Copacabana, ci ha incantati l'altrettanto famosa spiaggia di Ipanema, dove alcuni di noi hanno potuto vivere l'emozione di un bagno dell'oceano, tra onde e surfisti (in pieno inverno!). Indimenticabili i viaggi sugli autobus di linea, veloci e spericolati come una corsa in ottovolante.
Questi primi giorni sono stati per noi un tempo di ambientamento, in attesa di entrare nel vivo della Giornata che culminerà con la veglia nel Campus Fidei di Guaratiba, alle porte della città.
Non vediamo l'ora!
Andrea Santorio e Tano de Biase
Sguardi
Confesso di essere partita per questo nostro viaggio un po’ distratta, persa nei pensieri del mio cuore. E questa sorta di disarmonia mi ha allontanata talvolta dall’entusiasmo di coloro che mi erano accanto.
Ma non dai loro sguardi.
Sedevo su dei gradini, in attesa di salire al Cristo Redentore, quando mi si avvicina Alex, un giovane ragazzo brasiliano che mi coglie di sorpresa:
che idea ti sei fatta, del Brasile?
Nel rispondere mi affido a quello sguardo fiero ma curioso:
pensavo che Rio fosse diversa: mi ha colpita come un pugno nello stomaco.
Le favelas che ti si stagliano davanti, all’uscita dell’aeroporto: quelle costruzioni in lamiera e mattoni, arrampicate le une sulle altre, senza porte né finestre, senza servizi. Ma con televisori grandi come non ne avevo mai visti.
I quartieri della città, con il filo spinato sulle recinzioni, le inferriate alle finestre e sulle terrazze, come carceri.
Le strade di notte, abitate da un popolo che di giorno sembra scomparire.
Davvero, non ero preparata a questo.
Alex non sembra stupito dalle mie parole, quanto piuttosto dal fatto che le abbia dette.
E mi dice che questo è il Brasile. Non Copacabana, non Ipanema.
Questo è il Brasile dove lui vive, dove costruire un futuro è molto più faticoso che per me.
Ma Alex non ha nessuna intenzione di tirarsi indietro.
Ritrovo la fierezza e la determinazione del suo sguardo nei ragazzi della Scuola Famiglia di Riacho de Santana, nella Diocesi di Caetitè.
Studenti davvero preparati, che ci hanno inchiodati alla nostra (ir)resposanbilità per le sorti del mondo.
Giovani uomini e donne che con occhi disincantati non cessano di costruire, giorno dopo giorno, la speranza.
Né posso dimenticare lo sguardo consapevole e traboccante d’amore di Don Armando Bucciol, vescovo di Livramento.
Nel celebrare la messa per la festa dedicata al Bom Jesus de Lapa, don Armando ricorda la grazia del battesimo, che i genitori invocano per la salvezza dei propri figli.
E con fermezza interroga la piazza, gremita di gente:
come potete non chiedere la stessa grazia per voi e per la vostra famiglia, nel sacramento del matrimonio?
Per poi trattenersi al termine della celebrazione per salutare, chiamando ciascuno per nome, testimone della Chiesa che è mamma che accoglie e, nel contempo, che non rinuncia ad annunciare la verità del Vangelo.
Anche davanti ai notabili della città o ai ragazzini che mangiano pop corn durante la messa.
Lo sguardo di Papa Francesco è lo sguardo che mi ha incantata, anche a metri di distanza.
Davvero pietra viva, incarnazione del Vangelo.
Con indicibile dolcezza ha posato il suo sguardo su di noi, come se ci conoscesse uno ad uno, più di quanto noi stessi ci conosciamo.
E con voce limpida ci ha spronati ad andare oltre le nostre paure, le nostre insicurezze, le nostre ridicole scuse, incontro alla felicità che ci offre Gesù.
Certamente mi ha affascinato la corporeità delle persone brasiliane, la libertà e l’armonia con cui esprimono se stesse, senza restare imprigionate in parole e gesti stereotipati.
Ma un po’ mi spaventa, questa fisicità.
Corpi che si abbracciano, volti che si sfiorano, mani che si intrecciano: dentro di me, non riesco a sciogliere questi gesti dal significato di cui li carico, in relazioni più intime.
Forse per questo mi ha rapita lo sguardo del Cristo Redentore, che imponente si dona nell’abbraccio della croce.
Senza legarci a sè.
Guardandoci dentro e amandoci, anche nelle nostre miserie.
Attirandoci, per trasfigurarci nel Suo sguardo di misericordia infinita.
Margherita Zanette
Minha família brasileira
Oggi posso dire di avere due mamme, due papà e altre due sorelle! Vi chiederete come sia possibile… No non sono stata adottata, anzi, potrei dire di sì, adottata per sei giorni a Rio de Janeiro, dove ho vissuto la Giornata Mondiale della Gioventù.
Vi racconto un po’ della mia famiglia “brasileira”: la mamma si chiama Isabel, è una signora di circa settanta anni, ma molto in gamba e vivace per la sua età; il papà, José Joackin, un signore tanto gentile, un vero e proprio papà, e le due figlie Adriana e Maria Celeste, quest’ultima vive a New York.
La prima cosa che ricordo è stato il momento in cui ci siamo conosciuti, dopo che gli organizzatori avevano annunciato i vari smistamenti di noi ragazzi nelle famiglie ospitanti. Ci siamo subito corsi incontro e abbracciati; poi, dopo due chiacchiere incomprese, in quanto ancora non sapevamo praticamente nulla di portoghese, abbiamo caricato i bagagli in macchina e siamo andati a casa.
Con me c’era anche Maria Giovanna, in quanto eravamo suddivisi a gruppetti di due, tre persone per famiglia.
La casa dove abbiamo trascorso queste incredibili giornate, in realtà dove abbiamo praticamente fatto solo colazione e dormito perché tutto il resto del giorno eravamo impegnati, era molto umile, ma molto decorata, rifinita nei particolari, non sto parlando di parquet o marmo o di mobili pregiati, ma mi riferisco all’attenzione che Isabel, la mamma, aveva nel rendere la sua casa accogliente, con fotografie, quadretti, soprammobili, un sacco di calamite colorate sul frigorifero oppure ancora il centrotavola ricamato da lei, il copri bombola del gas: potrei fare un elenco lunghissimo. Si può dire che Isabel è l’artista della famiglia: oltre ai ricami, ci ha mostrato tantissimi maglioni fatti a mano da lei, ma anche un’altra cosa molto particolare: aveva ricamato su dei ritagli di stoffa bianca la storia dell’amore tra lei e suo marito, scritta come una filastrocca, che non finiva mai di raccontarci.
José, il marito, per me è stato davvero come un papà, aveva un’infinita dolcezza nel modo di fare che mi ha fatto sentire a casa. Anche lui ha circa 70 anni ed è infatti in pensione. Dal primo momento in cui siamo arrivate, si è dato subito da fare cercando di rendere la casa il più confortevole possibile per noi, tanto che mi sentivo in imbarazzo, perché tutto ciò era anche troppo: ospitarci e adottarci è stato già un enorme gesto di amore e di generosità nei nostri confronti, perché di fatto noi eravamo due estranee, due sconosciute, e questa famiglia ci ha accolto come fossimo due loro figlie tornate da un lungo viaggio o state via per lungo tempo. Beh, c’è anche da dire che anche noi ci siamo fidate di loro, perché, considerando tutto, eravamo in un mondo completamente diverso dal nostro,in un’altra realtà, e quindi un po’ di interrogativi ce li siamo posti.
La figlia Adriana è l’unica che abbiamo conosciuto, anche se, essendo così impegnate, non abbiamo avuto molto tempo per stare insieme e nemmeno lei era sempre presente a casa, probabilmente per lavoro. Anche lei è stata da subito molto gentile, molto aperta verso di noi.
Quello che veramente ancora mi colpisce è l’enorme altruismo che hanno avuto nell’ospitarci, non solo per il fatto di tenere in casa propria due persone estranee, ma anche perché due ospiti implicano più lavoro, darsi da fare di più, fare da mangiare per cinque anziché per tre.
Se ci penso, loro non si sono posti affatto questi problemi, anzi, come ha detto il parroco della comunità che ci ha accolto, queste famiglie non parlano la nostra lingua né noi la loro, ma parlano il linguaggio del cuore e questo giustifica tutti i passi da gigante fatti, tutti questi salti mortali che fa solo chi sa fidarsi dell’amore e sa affidarsi ad esso.
Laura Favero
La grotta
La Grotta di Mangabeira si trova nel territorio di Iguaçu, nel distretto di Livramento, nello stato di Bahia. Splendido esempio di dolina carsica, dall’estensione di circa tre chilometri e mezzo, la grotta è stata nel recente passato deturpata da furti di stalattiti, stalagmiti e concrezioni calcaree, specie nel suo primo tratto. Nonostante questo, è possibile ancora oggi ammirarne in tutto il suo splendore lo sviluppo di formazioni create nei secoli dallo stillicidio delle acque su rocce calcaree che assumono forme che si prestano a essere interpretate nei modi più fantasiosi. E così si incontrano formazioni che vengono viste come immagini sacre oppure concrezioni che ricordano dei lavori di merletto fino alla suggestiva grotta del vento in cui le formazioni calcaree tutte inclinate su uno stesso lato sembrerebbero evocare un forte vento che ne avrebbe causato il movimento.
Nell’anticamera della grotta è possibile celebrare la Messa ed è qui che, in occasione della festa del Sacro Cuore di Gesù, si svolgono festeggiamenti che concludono pellegrinaggi dalle zone limitrofe.
Entrare in una grotta è come scendere nel cuore della terra; sentirsi parte di una stratificazione avvenuta nel tempo; partecipare a fenomeni, come la creazione di una colonna calcarea, che si svolgono in un arco lunghissimo di anni e che si possono interrompere semplicemente poggiando la mano su di essa; provare anche l’esperienza straniante del buio e del silenzio assoluti. Non ne siamo abituati e per questo ne proviamo paura, eppure è un esercizio che ci riconcilia con noi stessi, ci fa riappropriare della nostra piccolezza e auscultare il nostro sangue che pulsa nelle vene. Reduci dalla folla di Rio e dai suoni, i colori, i gusti, gli odori della città, ci siamo calati con stupore ma anche con un po’ di fastidio in questa dimensione climaticamente scomoda e apparentemente asettica e abbiamo sperimentato la precarietà di chi, nel buio, cerca l’altro per andare avanti.
Tano de Biase