Chi è
Mons. Paolo Giulietti nasce a Perugia il 1 gennaio 1964. Entra al Pontificio Seminario Regionale Umbro Pio XI nellottobre 1985 e viene ordinato presbitero il 29 settembre 1991. Consegue la Licenza in Teologica pastorale con specializzazione in pastorale giovanile presso il Dipartimento di Pastorale Giovanile e Catechetica della Pontificia Università Salesiana.
È chiamato al Servizio nazionale per la Pastorale giovanile della Cei dal 2001 al 2007, anni in cui si trova anche a dover organizzare le Giornate Mondiali della Gioventù di Toronto (2002) e di Colonia (2005) e il triennio dellAgorà dei giovani.
È stato parroco ed amministratore parrocchiale dal 2007 al 2012 e vicario generale dal 2010. Il 10 agosto 2014 è stato ordinato vescovo titolare di Termini Imerese e ausiliario di Perugia da S. Em. il card. Gualtiero Bassetti.
Promotore dei pellegrinaggi a piedi e grande conoscitore degli itinerari percorsi da milioni di pellegrini ogni anno nel raggiungere le principali mete di spiritualità europee, è autore di alcune guide per pellegrini, tra le quali La Via di Francesco.
Traccia di intervento
PERCHÉ LO FACCIAMO: LEDUCAZIONE COME FACCENDA DELLA COMUNITÀ CRISTIANA
Per educare un figlio ci vuole un villaggio. Lespressione resa celebre da Papa Francesco può essere letta in due direzioni: non esiste educazione senza comunità e al di fuori della comunità; non esiste comunità che possa chiamarsi fuori dal compito educativo.
In prospettiva intraecclesiale, entrambe le piste ci sono state additate dai documenti della Chiesa italiana, da Educare i giovani alla fede a Educare alla vita buona del Vangelo, passando per le note sulla missionarietà delle parrocchie, sul primo annuncio e sulliniziazione cristiana. La risposta delle comunità cristiane è stata ambigua: da una parte continua a esistere un certo parallelismo tra pastorale giovanile e comunità, portato della crescente fatica di comunicare tra le generazioni, anche di preti (come da visioni limitate e limitanti del servizio educativo); dallaltra crescono le esperienze di coinvolgimento di una pluralità di soggetti nei percorsi e negli ambienti educativi.
La riflessione si complica se assumiamo in senso ampio la categoria di villaggio, come linsieme dei soggetti presenti sul territorio che interagiscono con il mondo giovanile. Anche in questo caso non mancano i segnali di una (almeno in parte) inedita collaborazione della realtà di pastorale giovanile con le altre agenzie educative locali, accanto a molte situazioni in cui ci si comporta da perfetti estranei, quando non da concorrenti.
In entrambe le prospettive, le innegabili e variegate difficoltà di collaborazione/integrazione possono essere affrontate a partire da alcuni punti comuni:
Dalla parte dei giovani e dei loro educatori, ciò significa assumere i processi di socializzazione/iniziazione come orizzonte; in altre parole: introdurre alla più ampia comunità non è un corollario, ma sta al cuore dellazione educativa, che deve progressivamente puntare a costruire legami e a far assumere ruoli nel mondo adulto.
Dalla parte della comunità, ciò significa fare un serio esame di coscienza sul proprio essere o meno un posto per giovani, sapendo che una parrocchia o una collettività educativamente sterili, incapaci cioè di generare alla pienezza della vita le nuove generazioni, sono falliti nel profondo, poiché vengono meno a quella generatività in cui risiede lessenza delladultità.
Dinanzi a tali sfide, un compito centrale e costitutivo delleducatore (del servizio di pastorale giovanile, delloratorio, dellassociazione
) appare sempre più quello di un costruttore di ponti: avvicinare i giovani al mondo adulto, conducendoli a divenirne partecipi; aiutare la comunità adulta a farsi accogliente e attiva verso i giovani. Per dirla con Malachia (sono le ultime parole dellAT!): convertire i cuori dei padri verso i figli e i cuori dei figli verso i padri (3, 24). Al di fuori di questo, dice il profeta, ci attende lo sterminio, cioè il collasso dellidentità verso derive nichiliste e autodistruttive.