“Abbiamo bisogno di recuperare il vero volto della speranza, come ciò che dal futuro illumina il presente e, ponendosi come un traguardo, chiarisce il cammino”.
Nella sua prima catechesi, il Card. Betori riconosce quanto siano “particolarmente gravosi” per i giovani “gli interrogativi che li toccano a riguardo del loro futuro nella possibilità di avere un lavoro, di incontrare una serena esperienza affettiva, di formare una famiglia, di evitare i non pochi richiami illusori delle varie forme di dipendenza”. Nel contempo, ricorda con chiarezza che “non c’è risposta vera a queste domande se non nella cornice di una comprensione di sé e del mondo secondo verità, senza scorciatoie, nella severità ma anche nella bellezza di un confronto con il disegno di Dio su ciascuno e sull’umanità tutta. Di qui scaturisce la necessità del confronto, anzi dell’incontro con Cristo, colui nel quale il Padre viene verso l’uomo e gli mostra la verità su se stesso e sul mondo. È Cristo il fondamento della nostra speranza”.
Per mettere “a tema l’attesa di speranza che è nel cuore di ogni uomo e l’annuncio che Dio, in Gesù Cristo, si offre a noi come la vera speranza”, l’Arcivescovo di Firenze valorizza con maestria la poesia di Charles Peguy, Il Portico del Mistero della Seconda Virtù; invita, quindi, i giovani a guardarsi in particolare “dall’ideologia narcisistica dell’autodeterminazione assoluta di un uomo che non avrebbe limiti alla costruzione di sé”: diversamente, si finirebbe “svincolati da ogni responsabilità e libertà”, in balia di “pulsioni e desideri”, dissolti “in un cielo senza riferimenti”.