"Non potremo rinunciare alla dimensione della gratuità che il volontariato esprime: pur in presenza di figure retribuite, l'educazione ha bisogno di mantenere un carattere importante di gratuità, perché il lavoro di chi aiuta davvero a diventare grandi non sarà mai pagato abbastanza.
Per il valore che esso ha, ma anche per il fatto che un educatore vero non potrà mai pretendere che gli si 'paghi' quel contributo del cuore e della mente che è chiamato a dare con tutto se stesso. la gratuità non significa tout court che non si viene retribuiti: la gratuità ha a che fare anche con una retribuzione che comprenda un modo, uno stile particolare attraverso il quale si svolge la professione. Per questo la compresenza di figure professionali e volontarie ha in se delle ragioni di grande buonsenso.
E questo ci rimanda anche a un'altra questione: riconoscere che ogni azione svolta in oratorio deve avere in sé una valenza educativa ed evangelizzante anche quando essa stessa non è così evidente: ci viene infatti spontaneo pensare che gli educatori in oratorio sono i preti e le suore, i catechisti e gli educatori dei gruppi adolescenti. Non lo sono da meno i baristi e coloro che fanno le pulizie, gli operatori del cinema e gli animatori dell'estate ragazzi; ma anche gli allenatori sportivi o gli animatori culturali che si prestano per attività espressive come la musica, la danza e il teatro o attività di qualsiasi altra espressività artistica o manuale.
Queste cose costituiscono delle premesse indispensabili a qualunque discorso sull'educatore professionale in oratorio”.
(Estratto dal volume “Ma che lavoro fai?, Editrice La Scuola – L’educatore dentro la comunità” di Michele Falabretti)