Accompagnare i giovani alla crescita significa aiutarli a fare chiarezza nella propria identità, a fare i conti con il proprio corpo e con i suoi limiti temporali, spaziali, relazionali, a comprendere il senso di una sessualità di cui va messo in luce il “perché” più che il “come”. Una fatica di cui educatori e genitori dovrebbero rivedere l’approccio per non rischiare di apparire inadeguati o addirittura dannosi. Lo spiega Maria Pia Colella, psicologa e psicoterapeuta che da anni si occupa di formazione dei giovani e che sarà tra i relatori al Convegno nazionale di pastorale giovanile del prossimo mese (6-9 maggio), con un intervento proprio sull’accompagnamento all’età adulta.
Perché accompagnare un figlio a diventare adulto significa anche – e forse soprattutto – aiutarlo a scoprire il senso dell’affettività e la bellezza delle relazioni?
Credo sia importante chiarire il significato dell’espressione “diventare adulti”, dell’adultità. Non si tratta soltanto di una crescita che riguarda l’evoluzione fisica. Diventare adulti vuol dire portare alla massima espressione, oltre al fisico, la sfera affettiva, quella relazionale e spirituale. Se proprio dovessimo concentraci su un aspetto dell’adultità dovremmo puntare sulla dimensione affettiva e relazionale, cioè sulla crescita del cuore, che non ha nulla di mieloso, ma riguarda il nucleo centrale di ciascuno di noi perché interferisce direttamente con il pensare, l’agire, il relazionarsi. Si pensa erroneamente che alla base di tutte queste funzioni ci siano gli aspetti cognitivi. Invece tutto parte dalla sfera emotiva, che è più profonda. Educare all’affettività e alle relazioni significa quindi non fermarsi agli aspetti superficiali, ma curare l’interiorità.
In questo impegno educativo quali sono gli errori che, come genitori e come educatori, dobbiamo cercare di evitare?
L’errore più grave è dare per scontata la conoscenza dei figli. Genitori ed educatori si diventa. I ragazzi che arrivano da me non hanno “errori di fabbrica”, la maggior parte dei problemi dipende dal fatto che i genitori non hanno saputo vedere i bisogni dei figli. Prestano attenzione al modo emotivo ma con un inganno forte. Pensano che tutti i bisogni emotivi vadano accontentati, secondo la logica “basta che tu sia felice”. Ma in questo modo di impedisce loro di crescere nella fatica e anche l’educazione emotiva ne risente. Non avendo un mondo emotivo ricco di tutte le sfumature che si incontrano nella realtà, positive e negative, i ragazzi diventano fragili. Ci sono genitori preoccupati di far sperimentare ai figli solo l’appagamento, attenti ad evitare loro anche il più piccolo istante di noia riempiendo le loro vite con mille attività. È sbagliato. Il fatto è che genitori, ma anche educatori, non ci si improvvisa. Occorre formarsi, leggere, frequentare qualche percorso, ascoltare chi ne sa più di noi.
Come gestire le menzogne del virtuale e far comprendere ai ragazzi che l’affettività e la sessualità non sono quelle raccontate, esibite, banalizzate sui social?
La risposta va modulata sulla base delle diverse età dei ragazzi. E questo va iniziato fin dai primi anni di vita. Invece vediamo ovunque bambini piccolissimi che giocano con lo smartphone. L’accesso ai social dovrebbe essere consentito solo dalle medie in poi. Purtroppo, non succede e siamo sempre costretti a inseguire. Così ci stupiamo se un ragazzo si affida al Web e ai social per soddisfare la sua sete di conoscere il mondo della sessualità. I genitori, gli adulti in generale, non sono considerati affidabili perché i ragazzi non si sentono visti, compresi. Non va fatta quindi la guerra ai social, ma dobbiamo noi adulti comprendere che i ragazzi, prima di conoscere il “come” della sessualità, vanno aiutati a comprendere il “perché”. È la ricerca di senso che aiuta i ragazzi a crescere.
Perché un numero crescente di adolescenti e di giovanissimi manifesta problemi legati all’identità di genere?
Finalmente ci stiamo interrogando sul concetto di identità. Non si tratta solo di genere, ma di un problema globale. I ragazzi di oggi stanno inseguendo un senso di spiritualità, di pienezza che in passato non c’era. E questa ricerca di senso la stanno facendo attraverso il loro corpo. Non è un caso che sia aumentata tutta la casistica dei disagi legati al corpo. E non è un caso che il suicidio sia la seconda causa di morte tra gli adolescenti. I ragazzi, proprio con il corpo, ci stanno dicendo che non riescono a trovare il senso delle cose
Perché proprio con il corpo?
Forse perché il corpo rimanda al senso del limite spaziale, temporale, relazionale. E i giovani d’oggi non riescono ad accettare i limiti in una società che continua a illuderli di essere onnipotenti. E quindi il corpo diventa il teatro in cui si manifesta la guerra dell’identità, del “chi sono io”. Tutta la società del resto sta cercando un corpo senza limiti, con anziani che stanno diventando quasi mostruosi nel tentativo di eliminare tutte le rughe e la pretesa di rimanere sempre e comunque in forma straordinaria. Anche il corpo dei giovani quindi sintetizza le contraddizioni del mondo adulto.
@Luciano Moia, Avvenire 3/04/2024