Il giorno della memoria quest’anno sarà più vivo nei cuori di moltissimi giovani che hanno varcato le soglie di Auschwitz e Birkenau durante la Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia.
Sono passati pochi mesi dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Cracovia e i ricordi si inseguono, i racconti degli incontri inaspettati, delle mani strette, dei sorrisi, del pregare insieme riemergono di tanto in tanto con sfaccettature diverse. Ogni esperienza è singolare, unica, anche quando vissuta insieme a milioni di persone. Eppure, c’è un ricordo plumbeo che affiora in tutti i giovani che hanno vissuto questa GMG, un ricordo indelebile, assillante e pesante da portare: la visita ad Auschwitz e Birkenau, i campi di concentramento che i pellegrini hanno visitato mentre si trovavano in Polonia.
“Uno dei primi momenti che più mi hanno segnata – ricorda Maria Teresa Abbagnale, uno degli animatori di Casa Italia - è stata la visita dei campi di concentramento. L’allegra combriccola cantante sul pullman, appena varcata la soglia del “campo”, si è trincerata dietro ad un silenzio quasi assordante”.
Il silenzio che parla più di ogni altra parola, più di ogni spiegazione. Varcare la soglia dove primeggia la scritta beffarda: Arbeit macht frei - il lavoro rende liberi -, entrare nei ‘block’ attorniati dal filo spinato porta subito la mente – e il cuore – agli uomini e alle donne innocenti che in quegli spazi hanno vissuto le ultime ore della loro esistenza, con i volti scavati dalla fame e dal freddo, uomini e donne che giorno dopo giorno perdevano sempre più la loro identità, riconoscibili solo attraverso un numero. Forse, senza più nemmeno i ricordi a scaldarli, perché il buio di Auschwitz è riuscito a cancellare anche i ricordi di molti.
Anche Papa Francesco è rimasto seduto su una panchina in silenzio, prima di recarsi nel noto blocco 11, dove era situata la prigione del campo di detenzione. Prima di lasciare Auschwitz e Birkenau, Francesco si è seduto di nuovo, stavolta per scrivere poche parole, le uniche che ha voluto lasciare in questa sua visita: “Signore, abbi pietà del tuo popolo! Signore perdono per tanta crudeltà!”.
Dunque silenzio, quello che serve per provare a capire come sia potuto accadere. Difficile immaginarlo in una giornata di sole, 30 gradi all’ombra, il cielo blu e il verde che circonda i campi. Niente neve, fumo nero, pioggia. Difficile percepire, almeno all’esterno, il luogo oscuro che tutti sappiamo.
Eppure, c’è qualcosa di penetrante in quel posto. E tutti i giovani, anche i ragazzi più piccoli, una volta entrati nei campi, sono riusciti a ‘vedere’ quel buio.
“Avevamo i volti segnati – racconta Maria Teresa -, occhi grandi, ben aperti e lucidi per guardare ogni singolo elemento, spazio, dettaglio che potesse in qualche modo farci comprendere razionalmente il perché di tutto quello che era accaduto in quei posti. Ricordo di aver fissato l’attenzione sui passi che facevo per salire i gradini che mi portavano da un piano all’altro: gli scalini erano impolverati, sporchi, freddi. Quei passi mi pesavano, tanto”. E continua: “La mia mente ha iniziato a viaggiare e a immaginarsi i passi di tutte le persone che in quel campo non hanno trovato via di uscita. C’erano i miei e quelli dei miei compagni di viaggio, in un silenzio attonito”.
Dunque silenzio, quello che serve per provare vergogna per quello che è successo, e la preghiera che non capiti mai più.
Come scriveva Primo Levi in Se questo è un uomo, “siamo arrivati in fondo. Più già di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile”.
Speriamo che sia vero.
(R.Rizzi)