Un educatore professionale scelto solo dal parroco e da pochi fidati, è destinato ad avere vita dura in oratorio e spesso addirittura a non durare a lungo. Proprio perché la scelta avviene in condizioni diverse dal passato, essa va scelta e sostenuta dopo un percorso da fare con gli organismi di partecipazione: consiglio pastorale e/o consiglio dell’oratorio, senza dimenticare che servirà anche un piano di sostenibilità economica da discutere con il consiglio per gli affari economici.
Si può discutere all’infinito sulle forme possibili di ingaggio e formalizzazione del contratto: oggi le nuove leggi sul lavoro non aiutano a trovare una soluzione unica e non è possibile suggerire nessuna forma su altre. Quello che mi pare però importante e da non sottovalutare è – appunto – tutto il percorso di valutazione rispetto a una scelta del genere. La forza di una comunità si esprime nel saper individuare delle scelte che si traducano in risorse e non siano mai una delega fatta in nome di bisogni pure urgenti. Questo vuol dire che il ruolo della figura professionale in oratorio va scelto dopo una attenta analisi della situazione e dei bisogni, affinché il mandato sia chiaro e condiviso. Solo così si può sperare di poter affrontare le difficoltà di tipo giuridico/economico: quando un soggetto (in questo caso la parrocchia) entra in co-progettazione con una realtà del terzo settore (di solito una cooperativa), la contrattazione lavorativa si rende più fattibile. Partecipare alla progettazione educativa è un passaggio che costringe la comunità a farsi delle domande, ad aprire gli occhi sui bisogni, a fare delle scelte con maggiore consapevolezza; sicuramente permette di trovare soluzioni percorribili.
Vorrei porre una piccola questione che può essere emblematica per capire cosa intendo per discernimento pastorale rispetto alla figura dell’educatore: è meglio cercare una figura all’interno della comunità o è meglio prenderla dall’esterno della stessa?
È ovvio che non è possibile rispondere in modo generico: qualche volta ci sono in comunità figure educative così riconosciute, che è naturale rivolgersi anzitutto ad esse. Ma questa è, di solito, una felice casualità. Normalmente bisogna mettersi alla ricerca: una persona interna alla comunità è comunque già conosciuta; se non è anche ri-conosciuta, potrebbero nascere delle fatiche se il rapporto suo con qualcuno fosse problematico (l’azione dell’oratorio è aperta a tutti). Di contro, una persona che viene dall’esterno deve inserirsi in un sistema educativo dove i volontari (insieme alla grande generosità che di solito mettono in campo) dimostrano spesso un solo, ma decisivo difetto: si sentono padroni della situazione.
La scelta non è facile, ma nemmeno impossibile: se il percorso di discernimento sarà serio, le scelte saranno sicuramente buone. Vale la pena di invocare i soggetti responsabili della comunità (il parroco, gli organismi di partecipazione), ma anche i soggetti che hanno responsabilità a livello diocesano: se gli uffici di pastorale giovanile sviluppassero un po’ di competenza, potrebbero utilmente accompagnare le parrocchie in questo lavoro di discernimento; oltre che a rispondere meglio al proprio mandato di coordinamento diocesano facendo circolare buone prassi e facendo crescere competenze e conoscenze.
(Estratto dal volume “Ma che lavoro fai?, Editrice La Scuola – L’educatore dentro la comunità” di Michele Falabretti)