Le parole del Papa mi tornano spesso in mente nel momento in cui mi metto davanti ai giovani: «La gioventù non è un oggetto che può essere analizzato in termini astratti. In realtà, 'la gioventù' non esiste, esistono i giovani con le loro vite concrete» ( Christus vivit 71), liberando il campo dalla tentazione di pensare il giovane solo in un gruppo, solo insieme agli altri rischiando di non dargli un volto, un nome e una vera storia. Purtroppo la pandemia ha interrotto tanti percorsi e, soprattutto tra i giovanissimi e giovani, si è insinuata una nostalgia di relazioni 'normali' che sfocia spesso nella frustrazione e nell’isolamento, nell’immobilismo di una solitudine subita. I giovani vivono immersi in una cultura dell’edonismo, della ricchezza, della perfezione esteriore, ma tutto ciò spesso maschera grandi dolori familiari, paure inconfessabili e ferite profonde; cresce sempre più la cosiddetta sindrome da prestazione provocata dalla proiezione sui giovani del bisogno di competizione che caratterizza il mondo adulto. Più che parlare di loro, occorre ascoltarli, lasciarli esprimere nel loro bisogno di amicizia, affetto, crescita, cambiamento.
I giovani ci dimostrano che hanno il coraggio di sperare in un futuro nuovo, pensando a strade inedite, guidati da ideali importanti. Se avessimo la sapienza di ascoltarli ci accorgeremmo che sono dei veri portatori di speranza. Scopriremmo che per loro sperare è avere consapevolezza di non essere soli, è la possibilità di credere ancora in qualcuno, soprattutto quel Qualcuno che non ci lascia mai. I giovani credono in una speranza capace di guarire, di sognare, di essere felici, di migliorarsi. Una speranza che riesce ad aprire il loro sguardo verso nuove prospettive, nella certezza che tutto andrà per il meglio, perché c’è Dio che ha portato sempre a termine le proprie promesse. Una speranza che muove il loro sentire e le loro scelte di ogni giorno. I giovani sono desiderosi di essere protagonisti dei loro progetti di vita e quando credono profondamente nelle loro scelte osano mettendosi in gioco, e aiutano noi adulti ad alzare lo sguardo e pensare in grande.
Gina Masi, Religiosa della fraternità Casa di Nazareth, incaricata di pastorale giovanile diocesi Camerino-San Severino - @Avvenire 7/04/2021